Si va alle elezioni, per cambiare.
Per cambiare cosa? Carroll diceva che bisognava correre fortissimo per rimanere immobili, e questo fa la nostra classe politica. A fronte di fallimenti ideologici e vuoti di programmazione ricorre ad una strategia che in natura è sempre vincente.
Il mimetismo.
Si cambiano nomi ( dei partiti badate bene, i nomi dei parlamentari sono sempre gli stessi ), si cambiano simboli, si cambiano schieramenti e il gioco è fatto.
Ma la sostanza? La sostanza è la stessa. Il nostro è un paese alle corde.
Ci stiamo impoverendo o forse ci stiamo accorgendo di essere poveri. Siamo allo stremo a causa di un egoismo generazionale che ha sempre rinviato alle future leve il problema di un sistema assistenzialista elefantiaco e inadeguato. Siamo stati storditi da un ingresso troppo veloce e svantaggioso (accettare il cambio a 1936,27 ha significato tacitamente avallare una svalutazione del potere d’ acquisto del 3,26 %: l’ equazione 1 euro = 2000 lire è stata automatica). La viscosità verso il basso degli aumenti delle materie prime (gas, petrolio etc) ci ha fiaccato. L’infinità di tasse gabelle e bazelli ci sono arrivati sul mento come un uppercut. Risultato?Una “nuova povertà” si è insinuata strisciando nel nostro paese.
E la casta cosa fa?
Invece di cercare soluzioni, programmi di recupero, sostegno etc si arrovella su nomi alleanze e sistemi elettorali.